Luci e ombre azzurre su Pechino 2022

a cura di Lorenzo Fabiano

Quattro medaglie, tutte al femminile. Due argenti e due bronzi, questo il raccolto dello sci alpino azzurro a Pechino 2022.
Quattro anni fa le medaglie furono due, ma oltre al bronzo di Federica Brignone in gigante, portammo a casa l’oro di Sofia Goggia in discesa, primo e sinora unico in questa disciplina. Vero che in Cina è mancato il metallo più prezioso, ma possiamo ritenerci più che soddisfatti; la squadra femminile conferma la sua forza e brilla ora la stella di quel talento di Nadia Delago, magnifico bronzo in una discesa che ci ha visti ad un certo punto accarezzare il sogno di una clamorosa e memorabile tripletta Goggia-Delago-Curtoni.
Giù il capello davanti a Federica Brignone, argento in gigante dietro a un’inarrivabile Sara Hector e bronzo in combinata alle spalle delle due svizzere Michelle Gisin e Wendy Holdener, e a Sofia Goggia che, a dispetto dell’acidità delle tesi di Maria Rosa Quario (che brutta inforcata hai fatto Ninna!), ha compiuto una doppia impresa: recuperare a tempo di record (ha sgobbato e sudato per venti giorni dalle sette del mattino alle otto di sera) dal rovinoso botto di Cortina, riuscire a essere a Pechino con un ginocchio malandato e mettersi al collo la medaglia d’argento. Questi sono i fatti, il resto è baruffa da paesello della quale faremmo volentieri a meno.
Non è stata l’olimpiade di Marta Bassino, in difficoltà su una neve alla quale non è riuscita a dare del tu. Ha 26 anni e potrà rifarsi a Cortina tra quattro anni. Se pensiamo all’olimpiade della regina Mikaela Shiffrin, diciamo che non è stata l’unica a trovarsi in difficoltà. Insomma, la squadra femminile, che la prossima stagione ritroverà Laura Pirovano e riavrà una Nicol Delago competitiva dopo un forzato periodo di transizione dall’operazione al tendine di Achille, gode di buona salute. Unica pecca lo slalom, dove le giovani fanno davvero ancora tanta fatica e una squadra al momento non l’abbiamo. Su  questo bisognerà lavorare.

Note dolenti arrivano invece dal settore maschile, rimasto all’asciutto di medaglie in due edizioni consecutive dei giochi: era successo già nel quadriennio Lake Placid 1980 e Sarajevo 1984, poi arrivò Alberto Tomba. Ecco, ora un altro Tomba non arriverà, ma qualcosa di meglio potremo fare, se a Pechino i migliori risultati sono stati il sesto posto di Dominik Paris in discesa e un encomiabile e commovente Giuliano Razzoli a 26 centesimi dal podio in slalom. In discesa abbiamo evidenti problemi di anagrafe e a Paris non possano sempre chiedere di ergersi a salvatore della patria; stesso discorso in gigante: Luca De Aliprandini, sfortunato a Pechino, ha 31 anni; oltre a lui, c’è lo zero. All’orizzonte si vede poco, ma sarà bene cominciare a dare più fiducia a qualche ragazzo perché quattro anni passano in fretta. Facciamo i nomi di Nicolò Molteni in discesa, Giovanni Franzoni in superG e gigante (oro  argento ai mondiali junior dello scorso anno) e Filippo Della Vite in gigante, che tanto bene stanno facendo in Coppa Europa. Detto questo, un talento pronto lo abbiamo, e di quelli cristallini: un patrimonio. Di Alex Vinatzer l’olimpiade ha detto ciò che sapevamo; ha 22 anni, pecca di gioventù alternando manche spaziali a pasticci, e ci sta. Con lui serve pazienza, gli manca ancora quel tanto così che in una disciplina diabolica come lo slalom non è però poco. Lasciamolo tranquillo, arriverà. Intanto, lo vorremmo vedere crescere anche in gigante, dove con un po’ più di convinzione potrebbe far bene. Ci felicitiamo, dopo tante tribolazioni, per l’ascesa di Tommaso Sala che finalmente sta ora deve deve stare. Questa sì che è una bella notizia.

Chiudiamo con una brutta pagina, il «caso Marsaglia», una figuraccia di dimensioni ciclopiche. Dalla Fisi per adesso arriva solo un rumorosissimo e imbarazzante silenzio. Sulla questione ci siamo già espressi: chi ha sbagliato paghi. Perché è così che si fa.
Si prendano provvedimenti, ma il gioco del silenzio, quello per favore no. Grazie.

Lorenzo Fabiano

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